martedì 28 aprile 2015

L'altra Faenza: mobilitarsi per i beni comuni e la gestione pubblica dei servizi

Autore: L'altra Faenza
Fonte: qualcosadisinistra.info




Lo sciopero dei lavoratori di Hera annunciato dalla Cgil per martedì 28 aprile contro la vendita delle azioni dei Comuni, la modifica del patto di sindacato e dello statuto della multiutility, è stato sospeso, ma la mobilitazione per questi obiettivi continua.


Infatti, se la proprietà pubblica scendesse dall'attuale 57% al 38%, non solo si allenterebbe ulteriormente il controllo pubblico - che in realtà non veniva esercitato neanche con il possesso maggioritario delle azioni - ma si arriverebbe alla definitiva privatizzazione.

Questa prospettiva renderebbe impraticabile il ritorno alla gestione pubblica del servizio idrico, sostenuto in modo inequivocabile dall'esito del referendum del giugno 2011, e affiderebbe solo alle logiche della Borsa e del mercato gli altri servizi pubblici locali - come il ciclo dei rifiuti e l'energia - che noi consideriamo “beni comuni” e che in quanto tali devono essere gestiti dal pubblico.

Per questo, “L'Altra Faenza” sostiene le mobilitazioni dei “Comitati acqua bene comune” dell'Emilia-Romagna e chiede che il Consiglio comunale di Faenza, ormai a fine mandato, non approvi le delibere sulla modifica del patto di sindacato degli azionisti di Hera e sulla disponibilità alla vendita delle azioni.

L'accordo-ponte sindacale, siglato nei giorni scorsi da Cgil-Cisl-Uil e i soci pubblici di Hera, ha riconfermato l'impegno del vecchio protocollo d'intesa di non scendere sotto il 51% della proprietà - impegno che il sindaco di Imola Manca, in qualità di rappresentante dei Comuni, voleva disattendere - ma questo protocollo resta in vigore fino al 30 giugno e prima di quella data andrà rinegoziato.

Le decisioni finali quindi si prenderanno nei prossimi mesi (l'assemblea straordinaria dei soci di Hera del 28 aprile ha comunque all'ordine del giorno la modifica dei patti tra gli azionisti), ma è chiaro che esse dipenderanno dalla mobilitazione che sapremo mettere in campo come movimenti per la difesa del pubblico e dei beni comuni, insieme ai lavoratori e alle loro rappresentanze sindacali e a quegli amministratori locali che continuano a voler difendere il ruolo del pubblico.

Tra questi non ci sono i Sindaci della Romagna, che hanno addirittura rimproverato al Sindaco di Bologna Merola la scelta di non voler vendere le proprie azioni di Hera. Non abbiamo sentito alcuna dichiarazione da parte del Sindaco di Faenza Malpezzi, ma sappiamo che quando i “poteri forti” chiamano, difficilmente si sottrae.

Invece c'è un'alternativa per gestire i servizi pubblici locali e per garantire la salvaguardia del diritto all'acqua e all'ambiente. Alcuni percorsi di “ripubblicizzazione” del servizio idrico e dei vari servizi pubblici locali sono in atto anche nella nostra regione: sta accadendo a Reggio Emilia e nei 44 Comuni limitrofi con una società pubblica per la gestione dell'acqua; sta accadendo nei Comuni del forlivese attraverso una società territoriale interamente pubblica per la gestione della raccolta dei rifiuti.

Di questo “L'Altra Faenza” vuole discutere in campagna elettorale, confrontando i programmi e chiedendo al Pd e al Sindaco Malpezzi con quali argomenti e quale coerenza ieri hanno sostenuto il referendum per l'acqua pubblica e oggi vogliono vendere le azioni di Hera.

domenica 26 aprile 2015

I profughi sono già cittadini europei

Autore: Guido Viale 
Fonte: Ilmanifesto.info




L’Europa va ricostruita dalle fondamenta, a partire dalla ridefinizione dei suoi confini. L’Europa che c’è ora si sta sfaldando perché è incapace di fronteggiare le tre principali sfide che i suoi popoli devono affrontare: la sfida ambientale (di cui i cambiamenti climatici sono il risvolto più pericoloso); quella economica, che vuol dire reddito, lavoro, casa per tutti e meno diseguaglianze; e quella dei profughi. Profughi, non migranti;gente che preme ai confini dell’Europa non alla ricerca di una “vita migliore”, come negli scorsi decenni, ma per sfuggire a guerre, stragi, morte per fame e schiavitù. Tre crisi interconnesseche richiedono uno sguardo alto sugli orizzonti, senza il qualevien meno ogni ragione di sovrapporre un’entità regionale come l’Europa a quelle di Stati nazionali ormai palesemente inadeguati. Eppure, nel dibattito politico il tema della crisi ambientale è ormai affondato, sommerso dalle preoccupazioni finanziarie; l’economia, che dovrebbe essere scienza del ben amministrare la casa comune, si è ridotta a una misera partita doppia del dare e del prendere, dove prendere, per chi ha il bastone del comando, ha preso di gran lunga il sopravvento sul dare. La questione dei profughi, finora considerata marginale (quasi un incidente di percorso) è la più grave e urgente, perché riassume in sé tutte le altre; ma ridisegnerà i confini dell’Europa e le sue fondamenta.
Una classe dominante tirchia e vorace, prigioniera della dottrina senza fondamenti e fallimentare della privatizzazione universale di tutte le cose (il “pensiero unico”), cerca di eludere i problemiposti dalla crisi ambientale globale, dall’”emergenza profughi”, dalle violazioni quotidiane della dignità umana subite da chi è senza reddito, senza lavoro, senza casa, senza cure, senza famiglia o affetti, senza futuro, con argomenti quali “non ci sono i soldi”, “non c’è più posto”, “non ci riguardano”. Sembra quasi che il crollo di Stati e il caos di intere regioni, il protrarsi endemico di conflitti insostenibili, o le stesse guerre guerreggiateai suoi bordi - a cui a volte l’Europa prende parte, a volte assiste ignava - non la riguardino. Mentre la stanno trascinando nell’abisso. Un abisso dove si intravvedono già le prime avvisaglie - ma se ne ascoltano ormai ad alta voce gli incitamenti- di una politica di sterminio. Che differenza c’è, infatti, se non in peggio, come ha fatto notare Erri De Luca, tra le navi negriere di secoli trascorsi e le carrette del mare che trascinano a fondo i profughi costretti a salirvi? O, come ha fatto notare Gad Lerner, tra i treni piombati che portavano gli ebrei ad Auschwitz, per trasferirli subito nelle camere a gas, e le stive dei barconi dentro cui i profughi, chiusi a chiave, sprofondano in fondo al mare senza nemmeno vedere la luce del sole? I numeri, direte voi. No! Quelli ci sono. Sono sei milioni – tanti quanti gli ebrei soppressi nei campi di sterminio nazisti – i profughi che affollano i campi dei paesi ai bordi del Mediterraneo, o che si apprestano aintraprendere un viaggio della morte verso le coste europee. E se per loro non sapremo mettere a punto soluzioni diverse - perché mancano i soldi, o perché non c’è posto, o perché sconvolgerebbero il non più tanto “quieto” vivere dei cittadini europei - la sorte che gli prepariamo è quella: uno sterminio, affidato agli incidenti di percorso invece che ai trasporti ferroviari gestiti da Eichmann.
Bisogna esserne consapevoli. Che cosa significano infatti le “soluzioni” prospettate dai nostri governanti: sia italiani cheeuropei? Distruggere le carrette del mare? Ne troveranno altre, ancora più costose e insicure. Allestire campi di raccolta ai confini dei paesi di imbarco? Ma per farne che cosa? Per trasportare in sicurezza i rifugiati, di lì verso la loro meta? O per affidare a dittature di ogni genere centinaia di migliaia di derelitti senza più diritti, né patria, né nome, che prima o poi tenteranno la fuga o verranno sterminati? Fare la guerra ai paesi da cui si imbarcano? Ma non sono state proprio quelle guerre a creare un numero così alto di uomini, donne e bambini senza più un posto dove vivere? Combattere e arrestare gli scafisti (la soluzione più ipocrita di tutte)? Ma sono loro la causa di quei milioni di esseri umani che vogliono raggiungere le coste europee, o è la mancanza di alternative sicure, messe al bando dall’Europa, a produrre e riprodurre gli scafisti?
La verità è che quei profughi sono già cittadini europei. Cittadini di ultima classe, perché non viene riconosciuto loro alcun diritto;ma tuttavia abitanti che fanno parte del contesto dove si decide il destino dell’Europa. Proprio per questo i paesi da cui fuggono sono già parte integrante del suolo europeo. Ma, a differenza dei migranti degli scorsi decenni quei profughi non tentano la traversata del Mediterraneo, o lo scavalcamento dei confini orientali, per trasferirsi in Europa per sempre; in gran parte sono pronti a tornare nei loro paesi non appena la situazione lo permettesse. Quella situazione è la pacificazione e la rinascita di quei territori: cose che non si ottengono con la guerra – come abbondantemente dimostrato, anche là dove il ricorso alle armi è stato indispensabile per salvare delle vite umane – né con una diplomazia che finge di trattare con quelle stesse fazioni che ha armato; o che continuano ad essere armate da giochi e triangolazioni su cui ha sempre meno controllo. 
Quella pacificazione, in Asia, Africa, Medio Oriente, ha bisogno di una base sociale solida. E quella base sociale, in potenza, c’è.Il nucleo portante potrebbero essere proprio quei profughi che hanno raggiunto o che cercano di raggiungere il suolo europeo; i legami che li uniscono sia a parenti e comunità già insediate in Europa, sia a coloro che sono rimasti, o non sono riusciti a fuggire dai loro paesi. Ma a quella moltitudine dispersa e disparata (i “flussi”) occorre riconoscere la dignità di persone. Aiutandole innanzitutto a raggiungere in sicurezza la meta; ma anche, una volta qui, permettendole di sistemarsi, seppure in modo provvisorio, in condizioni dignitose: in case che non sianoinsalubri ricoveri illegali; possibilmente diffuse sul territorio sia per non gravare su singoli abitati votati al degrado, sia per facilitare rapporti di buon vicinato con i locali. Con un lavoro, anche parziale, a partire dalla gestione e dalla sistemazione fisica degli ambienti in cui devono trascorrere una parte della loro vita: tra loro ci sono muratori, fabbri, falegnami, elettricisti,agricoltori; ma anche maestri, contabili, informatici, ingegneri, medici, infermieri; perché mai attività che, adeguatamente sostenute, possono fare loro, vengono invece affidate a cooperative che li sfruttano e costano il triplo? Ma, soprattutto, occorre facilitar loro la possibilità di incontrarsi, di mettersi in rete, di eleggere i loro rappresentanti, di farsi comunità sociale e politica, di mettere a punto strategie per il loro ritorno.
Ma come si può anche solo proporre obiettivi del genere in  paesi dove la disoccupazione è alle stelle e casa, reddito e lavoromancano anche a tanti europei? Non si può. A meno di perseguire per tutti, cittadini europei e stranieri, degli standard minimi di reddito, di abitazione, di lavoro (promosso o creato direttamente o indirettamente dai poteri pubblici), di istruzione,di assistenza sanitaria. L’essenza stessa di un programma radicalmente alternativo a quello perseguito dall’attualegovernance europea con le politiche di austerità. Ma l’unico capace di affrontare l’ondata del razzismo e della xenofobia alimentata dagli imprenditori politici della paura di destra e sinistra. E l’unico per fornire una road map alla rifondazione radicale dell’Europa; a partire dal riconoscimento dei suoi confini di fatto e di quei diritti senza i quali la pretesa di tener uniti i suoi popoli non ha alcun fondamento.
Utopia? Certo. Ma qual è l’alternativa? Il castello dell’euro, e quello dell’Unione, e la falsa immagine di un continente oasi di pace dopo la seconda guerra mondiale non resisteranno a lungo se non si lavora fin d’ora per invertire rotta. E la nuova rotta è questa: insieme ai nostri fratelli e sorelle che fuggendo dalleguerre e che portano, con la loro stessa vicenda esistenziale, un messaggio di pace.

sabato 25 aprile 2015

Ora e sempre Resistenza...Buon 25 Aprile a tutti e a tutte



« Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini » Pietro Calamandrei.





Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non con i sassi affumicati dei borghi inermi
straziati dal tuo sterminio
non con la terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non con la neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non con la primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto con il silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi con lo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama ora e sempre
Resistenza.
Piero Calamandrei


 Buona liberazione a tutti   !!

giovedì 23 aprile 2015

Il grattacielo delle larghe intese unisce coop bianche e coop rosse

Di: Andrea Alberizia




I progettisti hanno l'ambizione dichiarata di diventare un punto di riferimento simbolico nell'assetto urbano della località. Magari il punto di ritrovo del futuro nei dialoghi di indigeni e turisti a Marina di Ravenna: ci incontriamo sotto al grattacielo. Ma la torre Xenos con i suoi 54 metri di altezza è già riuscita nell'impresa di essere un punto di incontro fra mondi diversi ancora prima di sorgere: cooperative rosse e cooperative bianche, attive principalmente nel settore delle pulizie, si saldano nella società Comway che ha ottenuto il via libera per la costruzione. Una sorta di sperimentazione ante litteram di quella centrale unica delle cooperative che si sta costituendo in questi tempi. Ma è una saldatura che arriva in maniera indiretta e la si scopre risalendo almeno di un paio di passaggi lungo la catena di controllo, orientandosi tra partecipazioni polverizzate e passaggi di quote spalmati nei quasi otto anni di vita della Comway. Una rete di decine di società che in molti casi hanno sede negli stessi uffici divisi tra via Braille, via Negri, via Gardini. Un labirinto di scatole cinesi. Proviamo a dare una fotografia più fedele possibile, aggiornata a marzo, di cosa si muove dietro a un intervento edilizio che promette di investire una ventina di milioni di euro e andrebbe a tracciare un segno indelebile nel territorio.[...continua...]

sabato 18 aprile 2015

Ravenna non si meritava un sabato fascista !







Oggi a Ravenna si celebra il sabato fascista. Viene consentita una manifestazione in Piazza del Popolo da parte di una formazione ispirata a principi fascisti e anticostituzionali. Come è possibile consentire la violazione della costituzione che stabilisce: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” (XII disposizione finale)? Come è possibile che sia completamente ignorata da chi dovrebbe farla rispettare la LEGGE 20 giugno 1952, n. 645 con la quale si è data attuazione alla disposizione costituzionale? Perché il rappresentante del Governo finge di non conoscere la propaganda di principi contrari alla costituzione italiana effettuata da Forza Nuova senza nessun infingimento? Basta consultare il suo “programma politico per uno stato nuovo” per ritrovarvi la sistematica negazione delle libertà costituzionali e l’esaltazione del più becero fascismo. Basta guardare i saluti fascisti e i simboli fascisti impiegati nelle pubbliche manifestazioni di Forza Nuova: si affacci alla finestra signor Prefetto. 
No, signor Questore, non è sufficiente nascondersi dietro l’assenza di pericoli per la sicurezza pubblica per consentire la sistematica violazione della legge fondamentale della Repubblica. No, signor Sindaco, lasciare la Piazza del Popolo cioè il simbolo stesso della vittoria antifascista che così la rinominò, in libera disponibilità di esibizioni fasciste non è accettabile
Con quale coraggio fra 7 giorni Prefetto, Questore, Sindaco e Presidente della Provincia vi presenterete sulla stessa piazza per ricordare che 70 anni prima l’Italia era stata liberata da quello che ancora chiamate il “giogo nazifascista”?
Come già abbiamo più volte ricordato è indispensabile prendere posizione contro l’arretramento delle istituzioni dal presidio dei valori antifascisti. Sostenere e difendere la libertà di espressione è altro dallo stravolgimento della Costituzione. Sbaglia l’ANPI ravennate a credere che in tutti i casi il silenzio e l’indifferenza sostituiscano efficacemente la legittima e democratica protesta: ribadiamo che se non si marcano le differenze vengono meno gli anticorpi sociali che la democrazia sono chiamati a difendere! 
Per questo ci uniamo a quanti hanno protestato contro questa ennesima provocazione fascista, oltretutto finalizzata a cavalcare i più usurati luoghi comuni contro un presunto pericolo di invasione straniera. Rivendichiamo il diritto costituzionale alla protesta, civile, democratica, nonviolenta contro l’attacco ai valori costituzionali e, in particolare, all’articolo 10 della Costituzione (“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”). 
Ravenna non si meritava un sabato fascista

giovedì 16 aprile 2015

Ravenna si merita ben altro





Questo documento intende promuovere alla Cittadinanza tutta l’opportunità di incontro tra ciò che è stato possibile mettere a frutto attraverso l’esperienza delle elezioni Europee e Regionali e ciò che intendiamo conquistare nella città di Ravenna.

Le caratteristiche del progetto dell’Altra Europa e dell’Altra Emilia Romagna, in cui molti di noi si sono riconosciuti ed impegnati negli ultimi anni, restano la base su cui intendiamo proporre la costruzione di un soggetto politico a cui potersi riferire nell’affrontare le prossime elezioni amministrative. Restiamo coerenti ai principi cardine del nostro programma europeo e regionale, per la realizzazione di impegni che riportino al centro le necessità della Comunità e non i profitti di pochi fortunati inseriti nelle logiche clientelari da troppi anni radicate nel nostro territorio. Ci proponiamo di farlo con modalità partecipative che prendano forza da singoli o da gruppi di persone e non dai vertici dei partiti.
A chi come noi, condivide l’impossibilità di riconoscersi nelle azioni politiche e amministrative adottate dai sindaci che si sono susseguiti negli ultimi anni alla guida del governo del nostro territorio, chiediamo di non voltare ancora la faccia dall’altra parte. 
Non c’è da aspettarsi che questi ultimi 365 giorni rendano commestibile il frutto amaro che i ravennati sono stati costretti a mandar giù, subendo la progressiva erosione della qualità della vita; né che trovino finalmente soddisfazione le aspettative dei giovani che hanno ancora la forza di restare, malgrado tutto li incoraggi a investire energie per il proprio futuro in ben altri luoghi, preferibilmente esteri. Troppe le negatività per enumerarle tutte: la perdita di occasioni di lavoro qualificato (anzi, da tempo, di lavoro purchessia); l’aumento della povertà, che da vergogna da nascondere si è fatta normalità conclamata; il deterioramento costante ed inesorabile di servizi pubblici come l’istruzione e la sanità.
Per non parlare dell’esplosione della bolla speculativa edilizia, rispetto a cui si potrebbe credere sia stata conseguenza del caso e non di una precisa scelta politica che per anni ha promosso la cementificazione come bene in sé. A meno che, pure, la privatizzazione dei servizi e delle risorse, l’acqua innanzi tutto, a dispetto dell’esito di un referendum che prevedeva il contrario, possa essere la volontà di un dio lontano e non di politici sin troppo vicini, specie alla multiutility sotto casa.
E ancora la inesistente opposizione politica alle manifestazioni di chiara matrice fascista che vengono permesse in un comune Medaglia d’oro al valor militare per il contributo dato dalle nostre popolazioni alla Liberazione e al riscatto nazionale, mentre viene processata la protesta antifascista. E ancora e ancora…
In un arco temporale così ampio, in cui una stessa parte ha retto il timone senza soluzioni di continuità e in pressoché totale autonomia, quella stessa parte deve per forza cercare altrove la giustificazione di tutto ciò se non vuole ammettere di aver tirato una fregatura alla cittadinanza.
E allora prima viene la contingenza della fine di una dinastia imprenditoriale locale ed a seguire l’impossibilità di spesa dovuta alla crisi italiana... Insomma, a volerli ascoltare senza interrompere la narrazione, c’è sempre qualcosa di esterno al partito o al governo a cui addossare la responsabilità.
A nostro avviso, si è sempre trattato di scelte consapevoli tra le altre possibili. Non possiamo dichiarare che le alternative avrebbero portato a un futuro del tutto diverso, non possiamo dire che la crisi non abbia influito sullo stato di decadimento attuale, possiamo però con certezza dichiarare che la strada fino ad ora tracciata dalle scelte di questa amministrazione, non ci convince. Per questa ragione intendiamo impegnarci nel mettere in luce le contraddizioni e gli azzardi di chi ha l’illusione di avere un mandato a tempo indeterminato.
È giunta l’ora di dare a questa città un altro respiro. Ce n’è tutta l’urgenza. Ed è anche il momento in cui è possibile riuscirci. Una serie di elementi, che vanno dalla disaffezione dell’elettorato, abituato a mettere una croce senza pensarci, agli esempi di altre città in cui si è dimostrata possibile l’affermazione di un’alternativa, spronano ad agire anche a Ravenna.
Per raggiungere il risultato si deve cominciare subito. Confrontandoci tra gruppi, associazioni e singoli cittadini che non hanno rinunciato a sperare nell’obiettivo di stendere un programma di governo della città a cui possano attivamente prendere parte.
Non ci interessa un’alzata di mani utile ad approvare il progetto di un leader, ma siamo qui a proporre di lavorare insieme alle linee di progetto di un futuro alternativo, insomma, per proporre alle prossime elezioni comunali di sostituire il governo del Partito Democratico della città con un’alternativa di SINISTRA. Di segno radicalmente opposto da quello che ha improntato le politiche del PD ma anche le proposte della tradizionale opposizione. Tutte di destra, che lo dichiarino o meno.
Dalla nostra abbiamo la coerenza di un percorso che ha riportato una rappresentanza italiana nel parlamento europeo, nello schieramento contrario alle larghe intese tra popolari e socialisti. Con L’Altra Europa abbiamo candidato Alexis Tsipras alla conduzione della Commissione Europea quando chi ora lo elogia, derideva il progetto elogiando proprio gli Schulz e i Juncker che governano l’Europa sotto l’occhio vigile della finanza internazionale. A livello regionale esiste finalmente una rappresentanza, con L’Altra Emilia Romagna, peraltro di alto livello come in Europa, di quella parte di elettorato che, non volendo rinunciare ai valori patrimonio della sinistra, si era sino a novembre, trovata priva di un’alternativa alla subalternità al PD.
Il primo appuntamento pubblico con cui pensiamo di aprire un momento di confronto per la costruzione di possibili percorsi comuni è stabilito per il prossimo 9 maggio, quando terremo a Ravenna un seminario aperto che, oltre alla partecipazione della cittadinanza interessata, vedrà la presenza di quegli amministratori che sono riusciti a declinare in forme concrete l’alternativa che ci proponiamo come obiettivo.
Già da domani, d’altra parte, intendiamo iniziare a contattare quanti in forma organizzata o meno, condividono le nostre aspirazioni. Per incontrarci è possibile fare riferimento per e-mail a info.altraer.ra@gmail.com o ravennaltraer@gmail.com, per contatti telefonici: 3209205619 o 3391670183. Ovviamente siamo anche sui principali social media.

Iniziamo rapidamente a costruire ciò che manca e di cui sentiamo la necessità, affinché i ravennati possano scegliere nella primavera 2016 un’Altra (idea di) Ravenna.


L’ASSEMBLEA PROVINCIALE DI RAVENNA
        dell’ALTRA EMILIA ROMAGNA
     e dell’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS

martedì 7 aprile 2015

L'Altra Emilia Romagna è con gli antifascisti di russi. E il Pd?







Alla luce della mancata presa di distanza da parte dei leghisti di Russi dalle politiche perseguite in sede nazionale ovvero la promozione di posizioni xenofobe e di vicinanza ai movimenti che inneggiano al ventennio mussoliniano, è stato presentato da La sinistra per Russi in consiglio comunale un ordine del giorno per vincolare il sindaco a far dimettere dal comitato antifascista il rappresentante della Lega Nord. 
L’ordine del giorno è stato respinto per la precisa volontà del sindaco e dei consiglieri del Partito Democratico di mantenere “il più possibile inclusivo il comitato antifascista”. Lo stesso sindaco ha poi aggiunto che, a tutt’oggi, non è richiesta alcuna formale adesione ai valori dell’antifascismo per far parte del comitato antifascista.  In pratica, è stata la conclusione del sindaco, se la Lega Nord chiede di entrare nel comitato antifascista vuol dire che di per sé non è fascista. Secondo noi, invece, se si ammettono nel comitato di tutela dei valori della democrazia repubblicana rappresentanti di formazioni politiche che si richiamano o comunque non prendono le distanze da valori opposti, si contribuisce ad annacquare le distinzioni e a legittimare posizioni politiche che tutto sono meno che antifasciste.
Il rischio è quello di una messa in discussione delle basi stesse della nostra convivenza democratica, fondate sulla costituzione repubblicana a seguito della liberazione dall’occupazione nazi-fascista. Per questo è indispensabile prendere posizione contro l’arretramento delle istituzioni dal presidio dei valori antifascisti. Sostenere e difendere la libertà di espressione non deve voler dire dimenticarsi del divieto di ricostituzione del partito fascista, espressamente dichiarato nella nostra Costituzione, e ammettere il proselitismo fascista. Se non si marcano le differenze vengono meno gli anticorpi sociali che la democrazia sono chiamati a difendere: il primo passo, infatti, è far smarrire la memoria del fascismo e smettere di stigmatizzare ciò che costituisce oggi una pratica politica di stampo fascista; dopodiché il più è fatto e l’antifascismo resterà un rito vuoto, retorico e ampolloso, a presidio del nulla.
Russi si prepara così ad un rituale vuoto, retorico e ampolloso per celebrare la prossima festa nazionale del 25 aprile? Ammettendovi i fascisti di ieri e quelli di oggi in un corale abbraccio che tutti include, purché si tratti di italiani, di carnagione chiara, di religione cristiana, nulla importa se nostalgici di Mussolini o del decisionismo che faceva arrivare in orario i treni delle deportazioni di massa? Di tutto questo bisogna ringraziare il Partito Democratico e la sua indifferenza alla tutela dei valori democratici: caro Retini non basta usarli come aggettivo nel nome del partito per dimostrare di sapere cosa significhino! 

venerdì 3 aprile 2015

Lega nel Comitato Antifascista, bufera a Russi

Di: Alessandro Canella
Fonte: radiocittafujiko.it


 La denuncia della lista "Sinistra per Russi - Bene Comune"


Nel Comune di Russi, in Romagna, la Lega Nord siede al tavolo del Comitato Antifascista, ma i suoi consiglieri comunali non prendono le distanze da xenofobia, razzismo ed alleanze con la destra neo-fascista. È la denuncia della lista "Sinistra per Russi - Bene Comune", che ha presentato un odg, bocciato anche dal Pd. Il sindaco: "Modificheremo il regolamento".

Predicare xenofobia, fare alleanze con Casa Pound o Forza Nuova e al tempo stesso sedere al tavolo incaricato di organizzare le iniziative per la celebrazione del 70° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo.
Sembra un paradosso, eppure è quanto succede a Russi, Comune della Romagna, dove gli esponenti del partito di Salvini fanno parte del Comitato Antifascista, con l'avvallo del Pd. Lo denuncia la lista consigliare "La Sinistra per Russi - Bene Comune", attraverso il suo capogruppo Nicola Fabrizio.

"Alla luce del netto rifiuto da parte del segretario della Lega Nord di Russi di prendere le distanze dalle politiche xenofobe e razziste e dalle alleanze con l’estremismo nero e la destra radicale di Casa Pound e Forza Nuova - racconta ai nostri microfoni Fabrizio - ho presentato al Consiglio Comunale del 31 marzo un ordine del giorno in cui invitava il sindaco, quale presidente del Comitato Antifascista, a chiedere le dimissioni del rappresentate della Lega dal Comitato stesso".
Un odg che è stato bocciato dal voto compatto del Partito Democratico, maggioranza in Consiglio comunale, con il sindaco che si è detto d'accordo con le argomentazioni, ma di non poter decidere lui chi è antifascista e chi no.

Un episodio che è destinato a far discutere e a scatenare polemiche, anche perché l'azione della Lega all'interno del Comitato si è già fatta sentire. "Hanno subito incalzato sul tema delle foibe, proponendo di intitolare una strada o una piazza alle vittime - racconta il consigliere della Sinistra per Russi - Senza voler entrare nel merito, l'argomento non c'entra nulla con la commemorazione del 25 aprile".
Il rischio, lamenta Fabrizio, è che si renda la parola "antifascista" priva del suo significato e con essa lo sforzo di mantenerne vive nella memoria le motivazioni profonde.

Il sindaco di Russi, Sergio Retini, risponde sostenendo che l'Amministrazione interverrà modificando il regolamento per l'accesso al Comitato Antifascista. "Chiederemo ai partiti che vogliono farne parte - spiega Retini ai nostri microfoni - di sottoscrivere un documento in cui dichiarano di riconoscersi nei valori dell'antifascismo".
L'attuale regolamento, infatti, non prevede alcuna dichiarazione formale, ma la semplice richiesta di adesione di una forza politica.

Retini, però, difende anche l'esponente leghista del Comune in provincia di Ravenna. "Non ho alcuna ragione per pensare che non creda nei valori dell'antifascismo, dal momento che da molti anni prepara i ragazzi al 25 aprile". Semmai, secondo il primo cittadino, eletto grazie alla lista civica "Insieme per Russi", il problema sarà interno alla Lega Nord. "Io prendo le distanze in modo nettissimo rispetto alle posizioni della Lega a livello nazionale", conclude il sindaco.

Per l'audio cliccare qui

mercoledì 1 aprile 2015

La bufala dei posti fissi, mentre l’Italia resta precaria

Di: Piergiovanni Alleva
Fonte: ilmanifesto.info


Avanza con gran rumore, la mac­china media­tica sugli asse­riti suc­cessi del governo Renzi–Poletti, in tema di rilan­cio occu­pa­zio­nale. Un rilan­cio – si afferma – già rea­liz­zato in que­sti primi due mesi dell’anno 2015, con la sti­pula di 79.000 contratti di lavoro a tempo inde­ter­mi­nato e con pro­spet­tiva di ulte­riore cre­scita nell’immediato futuro. Il tutto, nono­stante la bru­sca fre­nata regi­strata ieri con un nuovo aumento della disoccupazione.

Il governo Renzi avrebbe “rimesso in moto l’Italia” ed il suo mer­cato del lavoro con due stru­menti: da una parte con il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori, e, dall’altro, la Legge di Sta­bi­lità 2015 che ha intro­dotto un totale sgra­vio con­tri­bu­tivo per ben 3 anni per i nuovi con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato con­clusi nel 2015.

Ma pro­prio stando ai dati che il governo ha dif­fuso con tanto cla­more non si tratta affatto, a ben vedere, di un suc­cesso, quanto piut­to­sto di un fal­li­mento del piano di rilan­cio occu­pa­zio­nale (costo­sis­simo e, per i mezzi usati, anche illegale).

L’operazione posta in essere dal governo pro­duce una occu­pa­zione mera­mente sosti­tu­tiva e non aggiun­tiva ed anche di pro­por­zioni minime, rispetto al lavoro pre­ca­rio “tra­sfor­ma­bile”. E lo fa, infine  quel che peg­gio, distri­buendo o pro­met­tendo ingenti risorse finan­zia­rie a sog­getti che quasi sem­pre non lo meri­tano in quanto i rap­porti di lavoro pre­ca­rio che ver­reb­bero ora tra­sfor­mati erano, 9 volte su 10, ille­git­timi e dun­que per legge in realtà già auto­ma­ti­ca­mente a tempo indeterminato.

E’ la prima volta, per quanto ricor­diamo, che gli eva­sori di molte norme lavo­ri­sti­che, pre­vi­den­ziali e con­tri­bu­tive ven­gono addi­rit­tura pagati (per ben 24.000 in tre anni).
Un com­penso offerto per met­tersi tar­di­va­mente in regola, a totale scorno degli impren­di­tori one­sti che a suo tempo effet­tua­rono rego­lari assun­zioni a tempo inde­ter­mi­nato e oggi non rice­ve­ranno asso­lu­ta­mente nulla.

Risulta dun­que da que­ste noti­zie che le assun­zioni con con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato sareb­bero state nel gen­naio 2015 il 20% delle assun­zioni totali, men­tre nel gen­naio 2014 erano solo il 17% e nel mese di feb­braio 2015 il 24% con­tro il 18% del feb­braio 2014.

In valori asso­luti si è trat­tato nel bime­stre con­si­de­rato del 2015 di 303.000 assun­zioni a tempo inde­ter­mi­nato con­tro le 224.000 del gen­naio – feb­braio 2014: la dif­fe­renza è, appunto, di 79.000 assun­zioni “in più” a tempo inde­ter­mi­nato e, que­sto sarebbe il dato del grande successo.

Ma basta ragio­nare un attimo sui dati stessi per ren­dersi conto che se nel bime­stre gen­naio – feb­braio 2015 le assun­zioni a tempo inde­ter­mi­nato sono state, nella media dei due mesi, il 22% del totale, ciò signi­fica che tutte le altre e cioè il 78%, sono per­tanto avve­nute con con­tratti pre­cari, e quindi, i 303.000 con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato sono fron­teg­giati e per così dire anne­gati da 1.075.000 con­tratti di lavoro pre­ca­rio, ossia a ter­mine, som­mi­ni­strato, a pro­getto, inter­mit­tente, ect.

Tutto si può dire meno che uno spo­sta­mento del 6% (dal 18% al 24%) costi­tui­sca una con­ver­sione in massa al tempo inde­ter­mi­nato, ma quel che è dav­vero grave, come lo è sem­pre stato, è che i con­tratti di lavoro pre­ca­rio restano nella mas­sima parte abu­sivi per­ché non cor­ri­spon­dono alla con­si­stenza nume­rica e per­cen­tuale delle occa­sioni di lavoro effet­ti­va­mente tem­po­ra­nei che si aggi­rano sul 13% 15% del totale.

In defi­ni­tiva, quel 78% che resta di con­tratti pre­cari signi­fica che 5 con­tratti pre­cari su 6 sono ancora abusivi.

Un primo pro­blema con­cerne la com­pa­ti­bi­lità di bene­fici con­tri­bu­tivi (sgra­vio o eso­nero trien­nale per 24.000) con la rego­la­men­ta­zione euro­pea degli aiuti di Stato, la quale ben distin­gue l’occupazione aggiun­tiva da quella solo sostitutiva.

Il governo, tra­mite l’Inps, si è affret­tato a met­tere le mani avanti soste­nendo e gri­dando ai quat­tro venti, che anche quando si tratti di mera sosti­tu­zione di rap­porti pre­cari con rap­porti a tempo inde­ter­mi­nato, e cioè di occu­pa­zione solo sosti­tu­tiva, non esi­ste­reb­bero gli estremi di un aiuto di stato ille­git­timo, in quanto i bene­fici in que­stione costi­tui­reb­bero una misura gene­rale con­cessa a tutti i datori di lavoro e quindi non ido­nea a creare discri­mi­na­zioni con­cor­ren­ziali tra gli stessi.

Biso­gna però notare che anche bene­fici di carat­tere gene­rale come quelli dei con­tratti di for­ma­zione di lavoro sono stati giu­di­cati ille­git­timi dalla Com­mis­sione euro­pea e che, incen­tivi del tutto simi­lari, nel senso di essere uni­for­me­mente diretti a tutti i datori di lavoro, quale quelli intro­dotti dalla legge For­nero in favore dell’assunzione degli ultra cin­quan­ta­cin­quenni e delle donne, dove­vano per espressa pre­vi­sione legi­sla­tiva, essere inqua­drati nel tipo gene­rale degli aiuti di Stato, salvo, sep­pur con regimi par­ti­co­lari di sal­va­guar­dia di con­ta­bi­lità che li ren­de­vano legittimi.

Insomma, quando ci sono di mezzo i prov­ve­di­menti del governo Renzi non pos­sono “star sereni”, non sol­tanto i lavo­ra­tori, ma diremmo, nean­che i datori di lavoro espo­sti anche essi a pos­si­bili brutte sorprese.

Inol­tre, poi­ché la decon­tri­bu­zione signi­fica mas­sic­cia spen­dita di denaro pub­blico, non può l’Inps né il suo ben inten­zio­nato pre­si­dente, il pro­fes­sore Tito Boeri, ero­garlo senza sot­to­porre le sin­gole situa­zioni ad un debito fil­tro, esa­mi­nando cioè la legit­ti­mità del rap­porto di lavoro pre­ca­rio “di provenienza”.

Rite­niamo che su que­sta ope­ra­zione anche la Corte di Conti debba tenere gli occhi bene aperti, per­ché appunto il denaro pub­blico non sia impie­gato in modo ille­git­timo ed ingiusto.

Per apprez­zare la pos­si­bile ingiu­sti­zia pen­siamo ai due impren­di­tori Tizio e Caio che nel 2014, per una nor­male esi­genza lavo­ra­tiva di tipo con­ti­nua­tivo, abbiano con­cluso due con­tratti diversi: Tizio un nor­male con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato e Caio – fur­betto – un irre­go­lare con­tratto a pro­getto per pagare meno con­tri­buti, negare al lavo­ra­tore tre­di­ce­sima men­si­lità e altre spet­tanze. E adesso Caio riceve per met­tersi tar­di­va­mente in regola con il con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato 24.000 di denaro pub­blico, men­tre l’onesto impren­di­tore Tizio ovvia­mente non riceve nulla.

Ci pensi, prima, pro­fes­sor Boeri per non dover­sene pen­tire poi. Lo diciamo non per con­tra­rietà a incen­tivi per il rilan­cio occu­pa­zio­nale, ma al con­tra­rio per­ché le risorse siano impie­gate per creare nuova occu­pa­zione vera e cioè aggiun­tiva secondo i cri­teri messi a punto da lungo tempo dalla Comu­nità euro­pea e non per ope­ra­zioni di imma­gine del Governo.